RIFERIMENTI SCIENTIFICI

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I trattamenti per la Cefalea di Tipo Tensivo (cefalea tensiva) possono essere suddivisi in due principali categorie:

 

• Trattamenti Farmacologici

Trattamenti non-farmacologici e/o naturali

 

Entrambi i tipi di trattamento possono essere utilizzati sia per le fasi acute che per la prevenzione (profilassi).

Poiché la maggior parte degli individui che soffre di Cefalea di Tipo Tensivo sporadica non si rivolge al medico e ricorre all’autosomministrazione incontrollata di analgesici (FANS come l’aspirina, l’ibuprofene o il paracetamolo), la maggior parte dei dati sui trattamenti e sulla loro efficacia rigurdano principalmente pazienti che soffrono delle altre due forme di cefalea tensiva, quella con episodi frequenti e quella cronica (per le quali invece la maggior parte dei pazienti si rivolge al medico).

Da un sondaggio telefonico è emerso che il 98% degli intervistati con cefalea di tipo tensivo ha dichiarato di usare farmaci; il 56% usava il paracetamolo, il 15% l’aspirina e il 17% altri farmaci (Forward et al., 1998).

E’ bene specificare sin da subito che, nonostante l’autosomministrazione di questi farmaci sia molto frequente (farmaci da banco acquistabili senza prescrizione medica), è di fondamentale importanza sapere che l’uso prolungato e frequente di tali farmaci può far progredire la cefalea di tipo tensivo sporadica ad una condizone cronica, con episodi cefalgici quotidiani.

Per tale ragione i pazienti che soffrono di cefalea di tipo tensivo dovrebbero utilizzare questi farmaci con una frequenza non superiore a 2 giorni a settimana.


Trattamenti non-farmacologici


 A – Biofeedback (efficace)

Dozzine di studi condotti a partire dagli anni ’70 hanno dimostrato inconfutabilmente che il Biofeedback costituisce il mezzo più rapido, efficace, duraturo e sicuro (privo di effetti collaterali) oggi disponibile per il trattamento di tutti i tipi di cefalea di tipo tensivo (sporadica, frequente e cronica).

Il Biofeedback per il trattamento della cefalea tensiva si basa su una lunga e vasta sperimentazione scientifica cominciata negli anni 70 che ne ha ampiamente dimostrato l’efficacia e che ne fa  l’opzione di prima linea per la prevenzione della cefalea di tipo tensivo (Nicholson et al. 2011).

L’efficacia del Biofeedback dipende dal tipo di protocollo utilizzato e dal locus in cui vengono posizionati i sensori di rilevamento delle attività fisiologiche; ad esempio, da uno studio comparativo tra l’EMG-Biofeedback effettuato sui muscoli della fronte e l’EMG Biofeedback effettuato sui muscoli del trapezio  è emerso che ben il 100% dei pazienti trattati con quest’ultimo protocollo hanno raggiunto una riduzione clinicamente significativa (=riduzione delle cefalee di più del 50%) mentre i pazienti trattati con il primo protocollo hanno raggiunto risultati clinicamente significativi “solo” nel 50% dei casi (Arena et al., 1995): “solo” è posto tra virgolette perché il 50% è comunque è un buon risultato se lo compariamo al 20-30% dell’amitriptilina, il farmaco (antidepressivo triciclico) più usato nel trattamento della cefalea tensiva.

In una recente metanalisi Nestoriuc et al. (2008) hanno condotto un rigoroso confronto di 53 ricerche (selezionate tra un numero ben maggiore in base al rigore metodologico usato) condotte a partire dagli anni '70 sull’efficacia dei vari protocolli di Biofeedback nel trattamento della cefalea tensiva.

Da questo imponente studio, condotto con una metodologia di analisi molto rigorosa, sono emersi dati molto chiari: il Biofeedback  ha un’efficacia che si colloca nel range  medio-alto: l’EMG-Biofeedback è il trattamento con il grado di efficacia più alto.

A fare del biofeedback la terapia elettiva per il trattamento di tutte le forme di cefalea tensiva sono dunque  le seguenti caratteristiche:

  • E’ clinicamente efficace almeno nell’ 80% dei pazienti trattati (Sherman, 2012).
  • Non comporta l’assunzione di farmaci
  • E’ privo di effetti collaterali e controindicazioni (è sicuro)
  • E’ indolore
  • E’ economico: il protocollo standard prevede solo 8 sedute
  • Ha effetti duraturi senza la necessità di ricorrere ad ulteriori sedute (studi di follow-up a 15 anni ne hanno dimostrato l’efficacia a lungo termine)

E’ stato inoltre dimostrato che l’efficacia del Biofeedback è significativamente superiore a quella del semplice rilassamento; da una ricerca (Blanchard et al., 1982) è emerso che il 36% dei pazienti con cefalea di tipo tensivo e il 44% dei pazienti con emicrania che non hanno mostrato miglioramenti con le sole tecniche di rilassamento (10 sedute in 8 settimane) hanno invece risposto bene al Biofeedback.

 

B – Biofeedback (calibrazione + shaping) + rilassamento progressivo (Molto Efficace)

Il più efficace protocollo di Biofeedback per il trattamento della cefalea tensiva è l'EMG Biofeedback che integra tre tecniche:

 

1 - la tecnica tradizionale dello "shaping"

2 - la tecnica della calibrazione senso-motoria

3 - la tecnica del rilassamento muscolare progressivo

 

L'applicazione di questo protocollo, che di solito comporta un numero molto limitato di sedute (8-10 sedute), produce effetti clinicamente significativi in almeno l'80% dei pazienti trattati (Sherman, 2012).

E’ stato ben dimostrato che l’aggiunta delle tecniche di rilassamento al Biofeedback determina risultati superiori a quelli del Biofeedback da solo (Nestoriuc et al. 2008). In sintesi il Bofeedback è più efficace del rilassamento (andando ad agire su meccanismi differenti) ed è efficace anche nei pazienti in cui il semplice rilazzamento risulti inefficace; tuttavia il rilassamento può potenziare l’efficacia del Biofeedback.

 

C – Biofeedback + Gestione dello Stress (Efficace)

Tra le cause principali della cefalea tensiva vi è lo stress cui spesso il paziente cefalgico è soggetto; in questi casi l’azione combinata del biofeedback e delle tecniche di gestione dello stress può produrre risultati ancor più significativi, rapidi e duraturi.

In aggiunta al Biofeedback la gestione dello stress implica anche:

  • Individuazione dell’agente stressante (stressor) e delle possibili strategie per evitarlo/annullarlo (ove possibile) o per limitarne gli effetti sulla vita del paziente.
  • Imparare a controllare la risposta psicofisica agli agenti stressanti con adeguate tecniche di rilassamento e con cambiamenti nello stile di vita.
  • Igiene del sonno. Questo elemento è spesso determinante; migliorare la qualità del sonno significa agire direttamente su un insieme di potenti meccanismi biopsicologici che contrastano fortemente gli effetti dannosi dello stress sul corpo e sulla mente, aumentando la resistenza psicofisica agli stressors inevitabili.
  • Gestione della rabbia. E’ stato ampiamente dimostrato che la tendenza e spesso l’abitudine (modificabile) di reagire agli eventi della vita (dai più piccol ai più grandi) con rabbia, espone l’individuo a un’ulteriore fonte di stress psicofisico, ciò che determina, oltre che un aumento della frequenza delle cefalee, anche un aumento significativo del rischio di serie patologie cardiovascolari.

D – Rilassamento progressivo

Il rilassamento progressivo presenta un grado di efficacia moderato nel produre risultati clinicamente significativi (ossia una riduzione del 50% della frequenza, intensità e durata delle cefalee). Ciò ad esempio è quanto dimostrato da Arena et al. (1995)dal cui studio è emerso che il rilassamento progressivo ha un’efficacia, seppur moderata, clinicamente significativa, con una riduzione di almeno il 50% della frequenza, intensità e durata delle cefalee nel 37% dei pazienti con diagnosi di cefalea tensiva. Anche altri studi hanno dimostrato una efficacia moderata nel ridurre la frequenza/intentità e durata delle cefalee (Blanchard et al. 1985, 1990; Collett et al., 1986; Gada 1984; Larsson e Carlsson, 1996).

 

E – Gestione dello Stress

Anche la gestione dello stress ha mostrato un grado di efficacia, seppur moderato, nel produre risultati clinicamente significativi (riduzione del 50% della frequenza, intensità e durata delle cefalee). Ciò ad esempio è quanto dimostrato da Holroid et al. (2001) in uno studio condotto su un campione di 203 adulti con diagnosi di cefalea di tipo tensivo, dal quale è emerso che le tecniche di gestione dello stress hanno prodotto risultati clinicamente significativi solo nel 35% dei soggetti. La stessa percentuale è quella emersa dalla metanalisi condotta da Bogaart et al. (1994).

 

D - Agopuntura (efficacia incerta)

Riguardo alla reale efficacia dell’agopuntura nel trattamento della cefalea di tipo tensivo, la ricerca sino ad oggi condotta ha prodotto risultati contrastanti (Bendtsen, 2009; Davis et al., 2008; Endres et al., 2007; Melchart et aò., 2005). La sua efficacia è dunque incerta.

E – Manipolazione Spinale (non efficace)

Questa tecnica non ha mostrato un’ efficacia attendibile nel trattamento della cefalea di tipo tensivo  (Bendtsen, 2009; Bove e Nilsson, 1998; Posadzki e Ernst, 2011). Il trattamento non è efficace.

 

F – Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

Da uno studio di Blanchard et al. (1990) su 66 pazienti con cefalea tensiva è emerso che la psicoterapia comportamentale non è più efficace del rilassamento progressivo nel ridurre la frequenza/intensità/durata delle cefalee. Quest’ultimo è risultato clinicamente efficace solo per il 37% dei pazienti trattati (Arena et al.,1995).

Nella psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale il paziente è spinto a identificare pensieri e credenze che possano contribuire ad aumentare il suo stress, ciò che aggrava i suoi mal di testa. Anche se in termini sperimentali i risultati delle psicoterapie sono difficili da misurare, alcuni studi ne hanno dimostrato una certa efficacia. Per altri tipi di psicoterapia non esiste un letteratura scientifica sufficiente.

Da una recente review sulle terapie non farmacologiche per il trattamento della cefalea tensiva (Sun-Edelstein e Mauskop, 2012)è emerso che le l’EMG Biofeedback costituisce oggi uno strumento efficace e che la terapia cognitivo-comportamentale e il training di rilassamento possono essere d’aiuto.

Attualmente l’EMG Biofeedback abbinato al rilassamento progressivo costituisce in assoluto lo strumento più efficace disponibile per il trattamento della cefalea tensiva, sia rispetto ai farmaci che rispetto a tutti gli altri trattamenti non-farmacologici.

G – Evitare i “triggers” (fattori d’innesco dell’episodio cefalgico)

I triggers più frequentemente riportati dai pazienti che soffrono di cefalea tensiva (ma anche di emicrania) sono i seguenti(Ulrich et al. 1996; Rasmussen et al. 1992):

a) Stress (psicologico o fisico)

b) Pasti irregolari o inappropriati; saltare i pasti

c) Eccessivo consumo di caffé o di bevande contenenti caffeina

d) Disidratazione

e) Disturbi del sonno (insonnie, ipersonnie, ecc.)

f) Attività fisica insufficente, eccessiva o inappropriata

g) Problemi psicologici (ansia e depressione in primis)

h) Variazioni ormonali

i) Ciclo mestruale

G – Stress, qualità del sonno e stile di vita

E’ da notare come spesso, nella vita quotidiana delle persone che soffrono di cefalea tensiva, i fattori su elencati (i triggers) siano spesso legati alla condizione di stress: ad esempio il condurre una vita stressante per un periodo prolungato spesso è associato a disturbi del sonno, ansia e ad uno stile di vita che porta l’individuo a consumare alti dosi di caffeina, a dormire male e in modo irregolare, a saltare i pasti e, spesso, a sviluppare sintomi ansiosi o depressivi. Anche in questo caso il Biofeedback integrato al rilassamento progressivo, e magari ad un intervento psicologico breve e mirato a individuare e modificare le abitudini scorrette e a migliorare l'igene del sonno, possono dare ottimi risultati e in breve tempo.

 


Trattamenti farmacologici


I trattamenti farmacologici si differenziano in base al tipo di cefalea tensiva di cui soffre l’individuo e in base all’obiettivo della terapia:

  1. Controllo dei sintomi
  2. Prevenzione o profilassi

Per i pazienti che soffrono di Cefalea di tipo tensivo episodica sporadica e frequente, i trattamenti farmacologici più utilizzati sono quelli ad effetto analgesico, come gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e il paracetamolo, che non curano il disturbo ma attenuano temporaneamente i sintomi. Vediamo tali sostanze in dettaglio:

 

A – Antinfiammatori e Paracetamolo (trattamento dei sintomi – rischio di cronicizzazione)

L’assunzione dei farmaci sotto elencati con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana facilita la cronicizzazione della cefalea con un peggioramento progressivo sino ad una condizione di cefalea ad episodi quotidiani (Diener and Hansen, 1993).

Da un importante studio che ha preso in considerazione 29 studi sugli effetti dei comuni analgesici sulla cefalea tensiva (per un totale di 2612 pazienti) non solo non è emerso alcun beneficio dall’uso di tali farmaci ma al contrario è stato dimostrato che la loro assunzione con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana è associata allo sviluppo della cefalea cronica e a una riduzione degli effetti delle terapie profilattiche. Di tali pazienti inoltre non tutti (il 75%) riescono a tornare ai livelli di cefalea precedente alla cronicizzazione da farmaci.

E’ necessario dunque non assumere tali farmaci senza controllo medico con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana.

Riportiamo di seguito una lista dei farmaci più utilizzati (Steiner et al., 2003; Ashina e Ashina, 2003) per ridurre temporaneamente i sintomi della cefalea tensiva, ma che espongono ai rischi di cronicizzazione su descritti:

 

  • Acido Acetil Salicilico (Aspirina) 1000 mg 
  • Paracetamolo o acetminofene (Tachipirina) – 1000 mg
  • Ibuprofene (Brufen) (400 mg)
  • Naprossene Sodico (550 mg)
  • Ketoprofene (25-50 mg)
  • Diclofenac (100 mg)

Mentre non è emersa una differenza significativa tra Aspirina e Paracetamolo (Steiner et al., 2003), gli altri farmaci antinfiammatori della lista sembrano essere più efficaci. Da uno studio è emerso che la somministrazione di ketoprofene (25 mg) e di paracetamolo (1000 mg) hanno entrambi un effetto superiore al placebo a due ore dalla somministrazione ma non a 4 ore(Steiner 1998).

Questi trattamenti si sono rivelati efficaci nel controllare temporaneamente il dolore (i sintomi) ma non costituiscono uno strumento che va ad agire sulle cause del disturbo e dunque non costituiscono una cura finalizzata alla guarigione. Al contrario espongono seriamente il paziente al rischio di una cronicizzazione delle cefalee.

B – Cocktail di farmaci: codeina, barbiturici, caffeina, oppiacei (trattamento sintomi – rischio cronicizzazione)

Quanto detto vale anche nel caso in cui il paziente assuma cocktail di farmaci composti, oltre che da antinfiammatori (FANS), anche da altre sostanze che ne potenziano l’effetto analgesico, come gli antistaminici (ad es. prometazina o difenidramina) e gli antiemetici (ad es. metoclopramide e proclorperazina), la caffeina e i sedativi come il butalbital, un barbiturico con durata d’azione media che dà dipendenza e che è consigliabile evitare; in generale la caffeina, la codeina e i sedativi dovrebbero essere evitati a causa dell’elevato rischio di dipendenza e cronicizzazione della cefalea cui espongono.

Tutte queste combinazioni farmacologiche sono solitamente efficaci nel trattare i sintomi (non a curare il disturbo) ma, allo stesso tempo, sono anche la causa più frequente dell’aggravamento della cefalea, con un aumento degli episodi cefalgici sino ad una cadenza quotidiana, ciò che definisce una condizione di cronicizzazione.

Prima di iniziare tali terapie farmacologiche sintomatiche il paziente dovrebbe sempre essere avvertito dal medico circa il rischio della probabile cronicizzazione della cefalea, motivo per cui la frequenza dell’assunzione di quei farmaci dovrebbe essere limitata a non più di 2 giorni a settimana: è indispensabile dunque che il medico monitorizzi l’andamento delle cefalee nel corso del trattamento.

Anche gli oppiati devono essere evitati per ragioni analoghe (dipendenza, abuso) (Ashina e Ashina, 2003).

 

C – Amitriptilina (efficacia modesta)

L’amitriptilina (Laroxyl) è un antidepressivo triciclico che trova impiego anche per la prevenzione della cefalea tensiva e dell’emicrania (Bendsten e Mathew, 2005; Diamond e Baltes, 1971; Gobel et al., 1994; Pfaffenrath et al., 1994; Bendtsten et al., 1996).

Nonostante il suo ampio utilizzo, la ricerca ha dimostrato che l’effettiva efficacia di questo farmaco nel ridurre la frequenza e l’intensità delle cefalee è modesta (Pfaffenrath et al., 1994; Gobel et al., 1994; Bendtsen et al., 1996).

Non solo è raro che l’uso di tale antidepressivo porti ad una completa remissione delle cefalee, ma solo una ridotta percentuale dei pazienti trattati riesce ad ottenere una riduzione clinicamente significativa (riduzione del 50% della frequenza, intensità e durata) delle cefalee.

Ciò è quanto è emerso da un importante studio (Pfaffenrath et al., 1994) in doppio cieco e con gruppo di controllo (placebo) condotto su 197 pazienti con diagnosi esatta di cefalea di tipo tensivo, che ha evidenziato che la somministrazione di amitriptilina (50-75 mg) per 3 mesi ha prodotto:

 

1)      Una riduzione della durata e della frequenza delle cefalee di almeno il 50% solo nel 25.4% dei pazienti trattati, una percentuale addirittura inferiore al placebo (26.6%).

2)      Una riduzione dell’intensità delle cefalee di almeno il 50% solo nel 26.9% dei casi, una percentuale quasi identica a quella del placebo (26.6%).

 

Simili risultati erano stati ottenuti in uno studio precedente altrettanto importante condotto su 211 pazienti con cefalea di tipo tensivo dal quale è emerso che solo il 22.4% dei pazienti cefalgici trattati con amitriptilina ha mostrato una riduzione clinicamente significativa dei sintomi, una percentuale di poco superiore al placebo (21.9%) (Pfaffenrath et al., 1993).

Un effetto modesto dunque a fronte degli effetti collaterali legati all’assunzione della dose di amitriptilina quotidiana necessaria (50-75 mg). Ciò è quanto sostenuto anche da Bendtsen (2009) e da (Zeeberget al. 2005).

Tuttavia, nonostante questi modesti effetti, non essendoci ancora alternative farmacologiche più efficaci, l’amitriptilina risulta essere oggi il farmaco più utilizzato nella profilassi della cefalea di tipo tensivo.

L’amitriptilina è uno psicofarmaco utilizzato per il trattamento della depressione che presenta significativi effetti collateralianche gravi che spesso portano il paziente a sospenderne l’assunzione e a interrompere il trattamento profilattico della cefalea tensiva. Al dosaggio richiesto per la profilassi della cefalea tensiva (50-75mg) i più comuni effetti indesiderati sono:

  • Eccessiva sonnolenza e sedazione
  • Anoressia, nausea, vomito, diarrea, ansietà, agitazione, stati confusionali con illusioni ed allucinazioni
  • Stipsi, secchezza delle fauci
  • Aritmia, techicardia, ictus

L’alta percentuale di pazienti che non rispondono all’amitriptilina possono però fare ricorso a trattamenti non farmacologici brevi ed efficaci come il Biofeedback che, se attuato con protocolli d’intervento specifici e in associazione al rilassamento progressivo, può portare ad una riduzione della frequenza, intensità e durata delle cefalee nell’80% dei pazienti trattati(Sherman 2012).

 

I meccanismi d’azione dell’amitriptilina sono sconosciuti: è stato proposto che siano coinvolti diversi meccanismi, tra i quali l’inibizione della ricaptazione della serotonina, il potenziamento degli oppioidi endogeni, l’antagonismo dei recettori NMDA e il blocco dei canali ionici (Bendtsten et al., 1996).

Di solito l’amitriptilina viene somministrata per un periodo di 6 mesi, seguito da un periodo di pausa.

Se dopo 4 settimane dall’assunzione del farmaco non si notano miglioramenti è da tenere in seria considerazione il ricorso a terapie alternative.

 

D – SSRI (antidepressivi – non efficaci)

Tra gli antidepressivi SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina) il più studiato è la fluoxetina. Da una recente review che ha comfrontato i risultati di 13 studi con gruppi di controllo (per un totale di 636 pazienti con diagnosi di cefalea di tipo tensivo) è emerso che sia la fluoxetina che la sertralina non sono efficaci nel trattamento profilattico della cefalea tensiva (Moja et al., 2005). Simili risultati sono emersi dagli studi di Bendtsen et al. (1996) e da Singh e Misra (2002) per quanto riguarda rispettivamente il citalopram e la sertralina.

Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono: nausea (22%), insonnia (19%), sonnolenza (12%), anoressia (10%), ansia (12%), nervosismo (13%) (Settle & Settle, 1984; MacKay et al., 1997; Lavin et al., 1993; Chouinard and Steiner 1986).

Un altro effetto collaterale comune sono le disfunzioni sessuali come l’anorgasmia, la disfunzione erettile e la perdita di reattività agli stimoli sessuali; anche dopo la sospensione della sua assunzione questi disturbi possono durare mesi, anni o, in alcuni casi, anche tutta la vita, condizione nota come “disfunzione sessuale post SSRI” (Csoka et al., 2007).

Negli adolescenti inoltre la fluoxetina aumenta di due volte l’ideazione suicidaria e nei giovani di età tra 18-24 anni la probabilità di suicidio (di circa il doppio).

 

E – Valproato di sodio e altri antiepilettici (non efficaci o efficacia da dimostrare)

Il valproato di sodio è un farmaco antiepilettico. Da una ricerca di Leanerts et al. (1996) è emerso che il valproato di sodio non è efficace nel trattamento profilattico della cefalea di tipo tensivo. Sembra avere una certa efficacia nel trattamento delle fasi acute delle emicranie (ma non nella profilassi), ma occorrono ulteriori studi (Mathew et al., 2000). Gli effetti collaterali più frequensti sono: stanchezza, sonnolenza, nausea, vomito e tremori.

Altri due anticonvulsivi utilizzati nel trattamento dell’epilessia sono stati proposti come possibili trattamenti per la cefalea tensiva, come il gabapentin (Neurotonin) e il topiramato. Non vi sono sufficienti dati sperimentali a supporto della loro efficacia e, visti gli effetti collaterali cui espongono, è consigliabile adottare trattamenti con efficacia già ben comprovata.

 

F – Miorilassanti (non efficaci)

Le evidenze scientifiche sulla reale efficacia dei farmaci miorilassanti nel trattamento della Cefalea di tipo tensivo con episodi frequenti, sono piuttosto scarse e c’è anche il rischio del fenomeno dell’abituazione; per tale ragione sono sconsigliati.

 

G – Triptani (solo se con emicrania)

Alcuni pazienti che soffrono di cefalea di tipo tensivo episodica frequente e che soffrono anche di emicrania rispondono ai triptani, come il Sumatriptan (farmaco generico).

 

H – Botulino (non efficace o scarse evidenze sperimentali)

La tossina botulinica è una proteina neurotossica prodotta dal batterio Clostridium botulinum con un potente e duraturo effetto miorilassante motivo per cui si è ipotizzato che potesse essere usato per ridurre la tensione dei muscoli pericranici considerata essere la causa della cefalea tensiva.

Tuttavia, per quanto riguarda la sua efficacia come trattamento preventivo della cefalea tensiva attualmente vi sono dati ancora molto scarsi o deludenti (Gobel et al., 1993; Smuts et al., 1999; Rollnik et al.,2000).

Ad esempio da uno studio condotto in doppio cieco è emerso che dopo 4, 8, e 12 settimane di trattamento con botulino di tipo A (iniezioni pericraniali), i pazienti trattati non hanno mostrato alcun miglioramento (Rollnik et al., 2000). Risultati simili sono emersi anche dallo studio di Schmitt et al. (2001).

Da un altro studio recente, condotto su 112 pazienti con diagnosi esatta di cefalea di tipo tensivo, è emerso che le iniezioni di botulino non hanno prodotto nessun miglioramento clinicamente significativo a 6 e 12 settimane (3 mesi) dal trattamento: l’elevato potere statistico di questo studio è tale da garantire la conclusione che la tossina botulinica di tipo A non è efficace nel trattamento della cefalea di tipo tensivo (Schulte-Mattler and Krack, 2004).

 

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