Le cure più efficaci per la Cefalea di Tipo Tensivo

Un confronto su base scientifica


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In questa pagina abbiamo pubblicato la Tabella Comparativa dei Trattamenti per la Cefalea di Tipo Tensivo, da noi realizzata per fornire uno strumento pratico e di veloce consultazione che possa aiutare chi soffre di cefalea tensiva a valutare, con senso critico, le varie opzioni d'intervento oggi disponibili, con una sezione di approfondimento per chi fosse interessato/a ad acquisire ulteriori strumenti conoscitivi.

La Cefalea di Tipo Tensivo è una patologia invalidante che può essere trattata efficacemente anche attraverso la comprensione dei meccanismi che ne sono alla base e la conoscenza dei metodi scentificamente fondati che sono in grado di intervenire realmente su tali meccanismi (e non solo temporaneamente sui sintomi).


Trattamenti per la Cefalea di Tipo Tensivo

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Efficacia, su base Scientifica, delle Cure farmacologiche e non-farmacologiche per la Cefalea di Tipo Tensivo

(per i riferimenti scientifici cliccare qui)

Trattamento

Efficacia dimostrata

Effetto a lungo termine

Durata terapia

Effetti collaterali

Biofeedback

80-90%

dei pazienti trattati

Dimostrato sino a

15 anni

Unico ciclo di 8-10 sedute

Nessuno

Rilassamento progressivo

37%

dei pazienti trattati

-

Variabile

Nessuno

Gestione dello Stress

37%

dei pazienti trattati

-

Variabile

Nessuno

Amitriptilina (antidepressivo triciclico)

(Laroxyl)

22-33%

dei pazienti trattati

La cessazione dell’assunzione porta al ritorno alla condizione pre-trattamento

Cicli di 6 mesi

Molteplici

anche gravi

Benzodiazepine (ansiolitici)

(EN, Prazene, Xanax, ecc.)

Moderata e temporanea Nessuno (non è una cura preventiva) Periodi brevi Molteplici Alto rischio di dipendenza e tolleranza

SSRI (antidepressivi)

Prozac (Fluoxetina), Sertralina (Zoloft), Elopram

Effetto non superiore

al placebo

-

-

Molteplici

anche gravi

Valproato di sodio, Gabapentin, Topiramato (antiepilettici)

Non efficace o incerta

-

-

Molteplici

anche gravi

Analgesici e antinfiammatori

(Tachipirina, Aspirina, Moment, Naprossene, Ketodol, Oki, ecc.)

Moderata e temporanea

Nessuno

Forte rischio di cronicizzazione (rebound headache) con aumento delle cefalee se assunti per più di 2 giorni a settimana

Periodi brevi

Molteplici

anche gravi

GlucocorticoidiBentelan, Deltacortene, ecc. (cortisonici) Controverso (può anche peggiorare i sintomi) Nessuno Periodi brevissimi

Molteplici

anche gravi

Agopuntura

Non superiore al placebo o incerta

-

cicli di 10-20 sedute con cadenza semestrale

Fastidio o dolore nei punti di applicazione degli aghi. Infezioni.

Botulino Tipo A

(iniezioni pericraniali)

Non efficace

-

Applicazioni ripetute a distanza di pochi mesi

Molteplici

anche gravi

Manipolazione spinale 

Non efficace o non dimostrato

Movimenti eccessivi o stimolazioni intense possono innescare la cefalea.

-

-

Osteopatia Non efficace o non dimostrato Movimenti improvvisi o stimolazioni intense possono innescare la cefalea. - -
Ginnastica Posturale Non efficace o non dimostrato Sforzi intensi o movimenti eccessivi possono innescare la cefalea. - -
Fitoterapia, Erbe e Integratori Non Efficaci Ad oggi non esistono sostanze naturali o integratori di efficacia dimostrata  -  -


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I dati riportati nella tabella si basano esclusivamente su quanto emerso dalla ricerca scientifica più recente (per visualizzare i riferimenti scientifici in dettaglio clicca qui). 

Allo stato attuale il metodo d'intervento più efficace per il trattamento della cefalea di tipo tensivo risulta essere il biofeedback, che ha anche il pregio di essere un intervento breve ed economico, con un grado di efficacia scientificamente dimostrata molto alto (80-90% dei pazienti trattati). Seguono il Rilassamento Progressivo e la Gestione dello Stress con un'efficacia dimostrata pari al 37% (37% dei pazienti trattati).

L'elevata percentuale di efficacia debiofeedback è dovuta al fatto che quest'ultimo, a differenza degli altri trattamenti che vanno a ridurre solo temporaneamente alcuni sintomi, va ad agire sulla causa diretta della cefalea tensiva, ossia la tensione eccessiva, inconsapevole/incontrollata, protratta e/o troppo frequente di specifici gruppi muscolari del cranio, del collo e/o della schiena (la combinazione varia da individuo a individuo), comportamenti attuati in modo involontario e inconsapevole e che, per poter essere individuati e corretti, richiedono necessariamente un feedback fisiologico, ossia un segnale che ci dica in modo affidabile e preciso qual'è il livello di contrazione dei muscoli interessati, attimo dopo attimo, a seconda di quel che facciamo o pensiamo, grazie all'uso della strumentazione di cui si avvale il biofeedback.

 


Biofeedback + tecnche accessorie (Molto Efficace)


Il più efficace protocollo di Biofeedback per il trattamento della cefalea tensiva è l'EMG Biofeedback. L'efficacia del biofeedback inoltre risulta essere potenziata e velocizzata dall'abbinamento di altre tecniche non-farmacologiche; un approccio di quest'ultimo tipo prevede, nel corso delle 8-10 sedute di trattamento, lo svolgimento concomitante delle seguenti attività:

1 – Biofeedback: Profilo Psicofisiologico (o Stress Profile)

2 – Biofeedback: Calibrazione Senso-Motoria

3 – Biofeedback: Tecnica dello shaping

4 – Rilassamento Progressivo da fare a casa e nel posto di lavoro (con CD/mp3)

5 - Colloqui Psicoeducativi e stress management

6 - Igiene del sonno

L'applicazione di questo protocollo, che di solito comporta un numero molto limitato di sedute (8-10 sedute), produce effetti clinicamente significativi in almeno l' 80-90% dei pazienti trattati (Sherman, 2012).

E’ stato ben dimostrato che l’aggiunta delle tecniche di rilassamento al Biofeedback determina risultati superiori a quelli del Biofeedback da solo (Nestoriuc et al. 2008). In sintesi il Biofeedback è più efficace del rilassamento ed è efficace anche nei pazienti in cui il semplice rilassamento risulti inefficace; tuttavia il rilassamento può potenziare l’efficacia del Biofeedback.



Rilassamento progressivo


Il rilassamento progressivo presenta un grado di efficacia moderato nel produrre risultati clinicamente significativi (riduzione del 50% della frequenza, intensità e durata delle cefalee). Ciò ad esempio è quanto dimostrato da Arena et al. (1995) dal cui studio è emerso che il rilassamento progressivo ha un’efficacia, seppur moderata, clinicamente significativa, con una riduzione di almeno il 50% della frequenza, intensità e durata delle cefalee nel 37% dei pazienti con diagnosi di cefalea tensiva trattati. Anche altri studi hanno dimostrato un'efficacia moderata nel ridurre la frequenza/intentità e durata delle cefalee (Blanchard et al. 1985, 1990; Collett et al., 1986; Gada 1984; Larsson e Carlsson, 1996).


Gestione dello Stress


Anche la gestione dello stress ha mostrato un grado di efficacia, seppur moderato, nel produrre risultati clinicamente significativi. Ciò ad esempio è quanto dimostrato da Holroid et al. (2001) in uno studio condotto su un campione di 203 adulti con diagnosi di cefalea di tipo tensivo, dal quale è emerso che le tecniche di gestione dello stress hanno prodotto risultati clinicamente significativi solo nel 35% dei soggetti. La stessa percentuale è quella precedentemente emersa anche dalla metanalisi condotta da Bogaart et al. (1994).


Agopuntura (efficacia incerta)


Riguardo alla reale efficacia dell’agopuntura nel trattamento della cefalea di tipo tensivo, la ricerca sino ad oggi condotta ha prodotto risultati contrastanti (Bendtsen, 2009; Davis et al., 2008; Endres et al., 2007; Melchart et aò., 2005). La sua efficacia è dunque incerta.



Manipolazione Spinale (non efficace)


Questa tecnica non ha mostrato un’ efficacia attendibile nel trattamento della cefalea di tipo tensivo  (Bendtsen, 2009; Bove e Nilsson, 1998; Posadzki e Ernst, 2011). Il trattamento non è efficace.


Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale


Da uno studio di Blanchard et al. (1990) su 66 pazienti con cefalea tensiva è emerso che la psicoterapia comportamentale non è più efficace del rilassamento progressivo nel ridurre la frequenza/intensità/durata delle cefalee. Quest’ultimo è risultato clinicamente efficace solo per il 37% dei pazienti trattati (Arena et al.,1995).

Nella psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale il paziente è spinto a identificare pensieri e credenze che possano contribuire ad aumentare il suo stress, ciò che aggrava i suoi mal di testa. Anche se in termini sperimentali i risultati delle psicoterapie sono difficili da misurare, alcuni studi ne hanno dimostrato una certa efficacia. Per altri tipi di psocoterapia non esiste un letteratura scientifica sufficiente.

Da una recente review sulle terapie non farmacologiche per il trattamento della cefalea tensiva (Sun-Edelstein e Mauskop, 2012) è emerso che le l’EMG Biofeedback costituisce oggi uno strumento efficace e che la terapia congitivo-comportamentale e il training di rilassamento possono essere d’aiuto. Attualmente l’EMG Biofeedback abbinato al rilassamento progressivo costituisce in assoluto lo strumento più efficace oggi diponibile per il trattamento della cefalea tensiva, sia rispetto ai farmaci che rispetto a tutti gli altri trattamenti non-farmacologici.


 


I “triggers” (fattori d’innesco dell’episodio cefalalgico)

 


I triggers più frequentemente riportati dai pazienti che soffrono di cefalea tensiva (ma anche di emicrania) sono i seguenti (Ulrich et al. 1996; Rasmussen et al. 1992):

a) Stress (psicologico o fisico)

b) Pasti irregolari o inappropriati; saltare i pasti

c) Eccessivo consumo di caffé o di bevande contenenti caffeina

d) Disidratazione

e) Disturbi del sonno (insonnie, ipersonnie, ecc.)

f) Attività fisica insufficente, eccessiva o inappropriata

g) Problemi psicologici (ansia e depressione in primis)

h) Variazioni ormonali

i) Ciclo mestruale

 


Stress, qualità del sonno e stile di vita


E’ da notare come spesso, nella vita quotidiana delle persone che soffrono di cefalea tensiva, i fattori su elencati (i triggers) siano spesso legati alla condizione di stress: ad esempio il condurre una vita stressante per un periodo prolungato spesso è associato a disturbi del sonno, ansia e ad uno stile di vita che porta l’individuo a consumare alte dosi di caffeina, a dormire male e in modo irregolare, a saltare i pasti e, spesso, a sviluppare sintomi ansiosi o depressivi. Anche in questo caso il Biofeedback integrato al rilassamento progressivo e a un intervento di stress management breve danno ottimi risultati in breve tempo.

 


Antinfiammatori e Paracetamolo

(alto rischio di cronicizzazione)


L’assunzione dei farmaci sotto elencati con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana facilita la cronicizzazione della cefalea con un peggioramento progressivo sino ad una condizione di cefalea ad episodi quotidiani (Diener and Hansen, 1993).

Per i pazienti che soffrono di Cefalea di tipo tensivo episodica sporadica e frequente, i trattamenti farmacologici più utilizzati (e abusati) sono quelli ad effetto analgesico, come gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e il paracetamolo, che non curano il disturbo ma attenuano temporaneamente i sintomi.

Vediamo tali sostanze in dettaglio:

Da un importante studio che ha preso in considerazione 29 studi sugli effetti dei comuni analgesici sulla cefalea tensiva (per un totale di 2612 pazienti) non solo non è emerso alcun beneficio dall’uso di tali farmaci ma, al contrario, è stato dimostrato che la loro assunzione con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana è associata allo sviluppo della cefalea cronica e a una riduzione degli effetti delle terapie profilattiche. Di tali pazienti inoltre non tutti (il 75%) riescono a tornare ai livelli di cefalea precedente alla cronicizzazione/sensibilizzazione da farmaci.

E’ necessario dunque non assumere tali farmaci senza controllo medico con una frequenza superiore a 2 giorni a settimana.

Riportiamo di seguito una lista dei farmaci più utilizzati (Steiner et al. 2003; Ashina e Ashina 2003) per ridurre temporaneamente i sintomi della cefalea tensiva e che espongono ai rischi di cronicizzazione su descritti in caso di sovrautilizzo:

  • Acido Acetil Salicilico (Aspirina) – 1000 mg 
  • Paracetamolo o acetminofene (Tachipirina) – 1000 mg
  • Ibuprofene (Brufen) (400 mg)
  • Naprossene Sodico (550 mg)
  • Ketoprofene (25-50 mg)
  • Diclofenac (100 mg)

Mentre non è emersa una differenza significativa tra Aspirina e Paracetamolo (Steiner et al., 2003), gli altri farmaci antinfiammatori della lista sembrano essere più efficaci nel ridurre il dolore seppur temporaneamente. Da uno studio è emerso che la somministrazione di ketoprofene (25 mg) e di paracetamolo (1000 mg) ha un effetto superiore al placebo a due ore dalla somministrazione ma non a 4 ore (Steiner 1998).

Questi trattamenti si sono rivelati efficaci nel controllare temporaneamente il dolore (i sintomi) ma non costituiscono uno strumento che va ad agire sulle cause del disturbo e dunque non costituiscono una cura finalizzata alla guarigione.

Al contrario espongono seriamente il paziente al rischio di una cronicizzazione della cefalea ed al fenomeno complesso e difficile da trattare del rebound headache.



Cocktail di farmaci: codeina, barbiturici, caffeina, oppiacei

(trattamento dei sintomi – rischio cronicizzazione)


Quanto detto finora vale anche nel caso in cui il paziente assuma cocktail di farmaci composti, oltre che da antinfiammatori (FANS), anche da altre sostenze che ne potenziano l’effetto analgesico, come gli antistaminici (ad es. prometazina o difenidramina) e gli antiemetici (ad es. metocloprmide e proclorperazina), la caffeina e i sedativi come il butalbital, un barbiturico con durata d’azione media che dà dipendenza e che è consigliabile evitare; in generale la caffeina, la codeina e i sedativi dovrebbero essere evitati a causa dell’elevato rischio di dipendenza cronicizzazione della cefalea cui espongono.

Tutte queste combinazioni farmacologiche sono solitamente efficaci nel trattare i sintomi (non a curare il disturbo) ma, allo stesso tempo, sono anche la causa più frequente dell’aggravamento della cefalea, con un aumento degli episodi cefalalgici sino ad una cadenza quotidiana, ciò che definisce una condizione di cronicizzazione.

Prima di iniziare tali terapie farmacologiche sintomatiche il paziente dovrebbe sempre rivolgersi ad un medico specialista e quest'ultimo dovrebbe sempre avvertire il paziente il rischio della cronicizzazione della cefalea cui tali farmaci espongono, motivo per cui la frequenza dell’assunzione di quei farmaci dovrebbe essere limitata a non più di 2 giorni a settimana: è indispensabile dunque che il medico monitorizzi l’andamento delle cefalee nel corso del trattamento.

Anche gli oppiati devono essere evitati per ragioni analoghe (dipendenza, abuso) (Ashina e Ashina, 2003).


Amitriptilina (Laroxyl)

(efficacia modesta)



L’amitriptilina (Laroxyl) è un antidepressivo triciclico che trova impiego anche nella prevenzione della cefalea tensiva e dell’emicrania (Bendsten e Mathew, 2005; Diamond e Baltes, 1971; Gobel et al., 1994; Pfaffenrath et al., 1994; Bendtsten et al., 1996).

Nonostante il suo ampio utilizzo, la ricerca ha dimostrato che l’effettiva efficacia di questo farmaco nel ridurre la frequenza e l’intensità delle cefalee è modesta (Pfaffenrath et al., 1994; Gobel et al., 1994; Bendtsen et al., 1996).

Non solo è raro che l’uso di tale antidepressivo porti ad una completa remissione delle cefalee, ma solo una ridotta percentuale dei pazienti trattati riesce ad ottenere una riduzione clinicamente significativa (riduzione del 50% della frequenza, intensità e durata) delle cefalee.

Ciò è quanto è emerso da un importante studio (Pfaffenrath et al. 1994) in doppio cieco e con gruppo di controllo (placebo) condotto su 197 pazienti con diagnosi esatta di cefalea di tipo tensivo, che ha evidenziato che la somministrazione di amitriptilina (50-75 mg) per 3 mesi ha prodotto:

1) Una riduzione della durata e della frequenza delle cefalee di almeno il 50% solo nel 25.4% dei pazienti trattati, una percentuale addirittura inferiore al placebo (26.6%).

2) Una riduzione dell’intensità delle cefalee di almeno il 50% solo nel 26.9% dei casi, una percentuale quasi identica a quella del placebo (26.6%).

Simili risultati erano stati ottenuti in uno studio precedente altrettanto importante condotto su 211 pazienti con cefalea di tipo tensivo dal quale è emerso che solo il 22.4% dei pazienti cefalalgici trattati con amitriptilina ha mostrato una riduzione clinicamente significativa dei sintomi, una percentuale di poco superiore al placebo (21.9%) (Pfaffenrath et al., 1993).

Un effetto modesto dunque a fronte degli effetti collaterali legati all’assunzione della dose di amitriptilina quotidiana necessaria (50-75 mg). Ciò è quanto sostenuto anche da Bendtsen (2009) e da (Zeeberget al. 2005).

Tuttavia, nonostante questi modesti effetti, non essendoci ancora alternative farmacologiche più efficaci, l’amitriptilina risulta essere oggi il farmaco più utilizzato nella profilassi della cefalea di tipo tensivo.

L’amitriptilina è uno psicofarmaco utilizzato per il trattamento della depressione che presenta significativi effetti collaterali anche gravi che spesso portano il paziente a sospenderne l’assunzione e a interrompere il trattamento profilattico della cefalea tensiva.

Al dosaggio richiesto per la profilassi della cefalea tensiva (50-75mg) i più comuni effetti indesiderati sono:

  • Eccessiva sonnolenza e sedazione
  • Anoressia, nausea, vomito, diarrea, ansietà, agitazione, stati confusionali con illusioni ed allucinazioni
  • Stipsi, secchezza delle fauci
  • Aritmia, techicardia, ictus

L’alta percentuale di pazienti che non rispondono all’amitriptilina possono però fare ricorso a trattamenti non farmacologici come il Biofeedback che porta ad una riduzione della frequenza, intensità e durata delle cefalee nell’80-90% dei pazienti trattati (Sherman 2012).

I meccanismi d’azione dell’amitriptilina sono sconosciuti: è stato proposto che siano coinvolti diversi meccanismi, tra i quali l’inibizione della ricaptazione della serotonina, il potenziamento degli oppioidi endogeni, l’antagonismo dei recettori NMDA e il blocco dei canali ionici (Bendtsten et al. 1996).

Di solito l’amitriptilina viene somministrata per un periodo di 6 mesi, seguito da un periodo di pausa.

Se dopo 4 settimane dall’assunzione del farmaco non si notano miglioramenti è da tenere in seria considerazione il ricorso a terapie alternative.



SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina)

(antidepressivi – non efficaci)


Tra gli antidepressivi SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina) il più studiato è la fluoxetina. Da una recente review che ha comfrontato i risultati di 13 studi con gruppi di controllo (per un totale di 636 pazienti con diagnosi di cefalea di tipo tensivo) è emerso che sia la fluoxetina che la sertralina non sono efficaci nel trattamento profilattico della cefalea tensiva (Moja et al., 2005). Simili risultati sono emersi dagli studi di Bendtsen et al. (1996) e da Singh e Misra (2002) per quanto riguarda rispettivamente il citalopram e la sertralina.

Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono: nausea (22%), insonnia (19%), sonnolenza (12%), anoressia (10%), ansia (12%), nervosismo (13%) (Settle & Settle, 1984; MacKay et al., 1997; Lavin et al., 1993; Chouinard and Steiner 1986).

Un altro effetto collaterale comune sono le disfunzioni sessuali come l’anorgasmia, la disfunzione erettile e la perdita di reattività agli stimoli sessuali; anche dopo la sospensione della sua assunzione questi disturbi possono durare mesi, anni o, in alcuni casi, anche tutta la vita, condizione nota come “disfunzione sessuale post SSRI” (Csoka et al., 2007).

Negli adolescenti inoltre la fluoxetina aumenta di due volte l’ideazione suicidaria e nei giovani di età tra 18-24 anni la probabilità di suicidio (di circa il doppio).


Valproato di sodio e altri antiepilettici

(non efficaci o efficacia da dimostrare)


Il valproato di sodio è un farmaco antiepilettico. Da una ricerca di Leanerts et al. (1996) è emerso che il valproato di sodio non è efficace nel trattamento profilattico della cefalea di tipo tensivo.

Sembra avere una certa efficacia nel trattamento delle fasi acute delle emicranie (ma non nella profilassi), ma occorrono ulteriori studi (Mathew et al., 2000).

Gli effetti collaterali più frequensti sono: stanchezza, sonnolenza, nausea, vomito e tremori.

Altri due anticonvulsivi utilizzati nel trattamento dell’epilessia sono stati propoti come possibili trattamenti per la cefalea tensiva, come il gabapentin (Neurotonin) e il topiramato. Non vi sono sufficienti dati sperimentali a supporto della loro reale efficacia.


Miorilassanti

(non efficaci)


Le evidenze scientifiche sulla reale efficacia dei farmaci miorilassanti nel trattamento della Cefalea di tipo tensivo con episodi frequenti, sono piuttosto scarse e c’è anche il rischio del fenomeno dell’abituazione; possono tuttavia essere efficaci ma devono essere usati per periodi brevi. Per tale ragione non possono essere utilizzati come trattamento profilattico.


Triptani

(solo se la cefalea tensiva è associata all'emicrania)


Alcuni pazienti che soffrono di cefalea di tipo tensivo episodica frequente e che soffrono anche di emicrania rispondono ai triptani, come il Sumatriptan (farmaco generico).

Questo farmaco però funziona solo nelle fasi acute del disturbo. Per essi inoltre vale lo stesso discorso fatto per gli analgesici: una frequenza di assunzione superiore ai 2 giorni a settimana espone al rischio di peggioramento, con un progressivo aumento della frequenza delle cefalee sino alla condizione cronica (15 o più cefalee al mese).

Anche in questo caso è dunque indispensabile ricorrere a trattamenti profilattici.


Botulino

(non efficace o scarse evidenze sperimentali)


La tossina botulinica è una proteina neurotossica prodotta dal batterio Clostridium botulinum con un potente e durturo effetto miorilassante, motivo per cui si è ipotizzato che potesse essere usato per ridurre la tensione dei muscoli pericranici considerata essere la causa della cefalea tensiva.

Tuttavia, per quanto riguarda la sua efficacia come trattamento preventivo della cefalea tensiva, attualmente vi sono dati ancora molto scarsi o deludenti (Gobel et al. 1993; Smuts et al. 1999; Rollnik et al. 2000). Non è dunque indicata.

Ad esempio da uno studio condotto in doppio cieco è emerso che dopo 4, 8, e 12 settimane di trattamento con botulino di tipo A (iniezioni pericraniali), i pazienti trattati non hanno mostrato alcun miglioramento (Rollnik et al. 2000). Risultati simili sono emersi anche dallo studio di Schmitt et al. (2001).

Da un altro studio recente, condotto su 112 pazienti con diagnosi esatta di cefalea di tipo tensivo, è emerso che le iniezioni di botulino non hanno prodotto nessun miglioramento clinicamente significativo a 6 e 12 settimane (3 mesi) dal trattamento: l’elevato potere statistico di questo studio è tale da garantire la conclusione che la tossina botulinica di tipo A non è efficace nel trattamento della cefalea di tipo tensivo (Schulte-Mattler and Krack, 2004).

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